South working: lavorare dal sud in Smart Working

L’emergenza sanitaria ha portato tanti cambiamenti nelle vite degli italiani e, tra questi, ne è emerso uno in particolare: il South Working.

south working: lavorare dal sud in Smart Working

South Working significa, letteralmente, Lavorare dal Sud. Teorizzato dalla ricercatrice palermitana Elena Militello, presidentessa dell’associazione South Working – Lavorare dal Sud, questo fenomeno, figlio dello Smart Working, ha spinto tanti tra coloro che si erano trasferiti al Nord Italia per lavoro a rientrare nelle proprie case al Sud per lavorare a distanza.

Una sorta di nomadismo digitale che però, anziché portare in giro per il mondo, permette un ritorno alle radici, al paese d’origine; un ricongiungimento con i propri familiari.

Fenomeno interessante la cui durata è ancora ignota, le opinioni in proposito non sono concordi. Alcuni ritengono che, con la fine della pandemia, tutto tornerà come prima. In questo caso, i lavoratori saranno nuovamente costretti a migrare al Nord oppure all’estero per rientrare nelle aziende per le quali lavorano.

Secondo altri, il mondo digitale di domani accentuerà ulteriormente il fenomeno, aprendo questa possibilità a un numero sempre maggiore di lavoratori.

Domenico de Masi e l’evoluzione dello Smart Working

Secondo Domenico De Masi, professore di sociologia del lavoro presso la Sapienza di Roma, la pandemia ha avuto il merito di aver spezzato il tabù del luogo di lavoro.

De Masi è da sempre interessato e grande sostenitore del lavoro a distanza. Negli anni Novanta era stato tra i primi nel nostro Paese a parlare di telelavoro. Certo, a quell’epoca internet, almeno come lo conosciamo oggi, era poco più che un’utopia.

Chi ha vissuto quegli anni, l’inizio dell’era digitale, certo ricorda le prime esperienze con il mondo delle tre w: la lentezza esasperante delle connessioni, le schermate più respingenti che accattivanti, la paura e la diffidenza per il nuovo.

Eppure il professore aveva già visto i possibili progressi e le influenze che le nuove tecnologie avrebbero, con gli anni, portato nelle vite di tanti lavoratori. Fondò addirittura la SIT, Società Italiana Telelavoro.

Nel 2020 è uscito un suo nuovo libro, “Smart working. La rivoluzione del lavoro intelligente”, edito da Marsilio Edizioni, nel quale analizza la storia e l’evoluzione del lavoro agile. Nel corso del lookdown, De Masi, in collaborazione con imprenditori e accademici, ha svolto alcune indagini. Finalità di tali indagini era comprendere meglio il fenomeno attuale che, secondo il suo punto di vista, è destinato a crescere e a modificare non solo i luoghi, la concezione stessa del lavoro.

I vantaggi del South Working

Smart working e South working portano numerosi vantaggi tanto ai lavoratori quanto ai datori di lavoro.

Per il lavoratore, poter lavorare da casa significa risparmiare il tempo del viaggio, potersi ritagliare uno spazio adeguato al suo modo d’essere e poter vivere dove preferisce. Permette dunque di rientrare nella propria città natale e ritrovare il contatto umano di amici e parenti.

I vantaggi per il datore di lavoro riguardano soprattutto i taglia alle spese: ufficio, computer, elettricità, magari buoni pasto e rimborso spese di viaggio. Un altro aspetto importante è l’aumento della produttività dei lavoratori che, trovandosi a vivere in un ambiente più confortevole, con orari meno rigidi, si sentiranno più positivi e motivati.

Permettere ai propri dipendenti di lavorare a distanza richiede una buona dose di fiducia, ripagata però da vantaggi economici non indifferenti.

Secondo un’indagine svolta da Datamining su commissione dello Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, dall’inizio della pandemia ben 45 mila lavoratori di grandi imprese del centro o nord Italia sono passati al lavoro agile, tornando al Sud.

Le imprese che hanno risposto all’intervista, se da un lato hanno riconosciuto i vantaggi economici del South Working, derivanti dal taglio delle spese per i luoghi fisici, dall’altra hanno indicato tra i principali aspetti negativi:

  • l’impossibilità di controllare il dipendente;
  • la sicurezza informatica;
  • gli investimenti.

In base ai dati ricavati da un questionario realizzato da Svimez in collaborazione con l’associazione South working – Lavorare dal Sud, al quale hanno partecipato 2000 lavoratori, l’85, 3% desidererebbe mantenere il proprio lavoro, ma svolgendolo in Smart working dal Sud.

South Working – Lavorare dal Sud

South Working – Lavorare dal Sud è un’associazione nata per supportare chi, per motivi di lavoro, è stato costretto a migrare, prevalentemente dal Sud Italia verso le regioni del Nord o all’estero, e che oggi, grazie allo Smart working, è potuto tornare a lavorare nei propri luoghi d’origine.

La speranza è che questo stato di cose non muti con la fine dell’emergenza sanitaria, ma si trasformi in una scelta possibile che aiuti anche a ridurre il divario economico e sociale fra nord e sud Italia.

In più, questo movimento di rientro dei lavoratori aiuterebbe anche il ripopolamento dei piccoli centri, abbandonati a loro stessi a causa della mancanza di lavoro.

A fine 2020, l’Associazione ha creato una partnership con la Fondazione Con il Sud. Carlo Borgomero, presidente della Fondazione, afferma che “al netto degli indubbi vantaggi per i lavoratori interessati, South Working rappresenta una straordinaria opportunità per lo sviluppo del nostro sud”. Borgomero si augura che il lavoro agile, imposto dall’emergenza sanitaria, “possa diventare una modalità strutturale di lavoro a distanza”, riuscendo ad attrarre in futuro anche chi non proviene dal sud del Paese.

South working e i nuovi luoghi di lavoro

I lavoratori in smart working che scelgono di tornare o trasferirsi al sud, lavorando dunque in South working, vanno sovente a ripopolare i piccoli comuni che, da questi ritorni, traggono nuova linfa a livello economico e sociale.

Per quanto riguarda i luoghi fisici in cui lavorare, alcuni ritagliano uno spazio all’interno della propria abitazione, adibendolo a studio o piccolo ufficio; altri preferiscono invece optare per gli spazi condivisi di coworking, laddove presenti.

Questa seconda soluzione aiuta il lavoratore a non alienarsi, entrando in contatto con altri dipendenti o professionisti e potendo maturare nuove conoscenze. Gli spazi di coworking possono essere veri e propri uffici condivisi, oppure aree dedicate all’interno di bar, librerie o persino abitazioni private.

Luoghi stimolanti e creativi, i coworking mettono a disposizione dei lavoratori tutto quello che occorre loro per essere produttivi, evitando le classiche distrazioni in cui si incorre lavorando in casa.

 

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Riguardo Eva

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