Quando si spia in una stanza da letto che non c’è.
L’appartamento esiste, la stanza pure ed il letto è ricavato dove capita. Guardando le foto di Barbara Peacock non si rimane incuriositi soltanto dal disordine dei cimeli, oggetti e feticci accumulati dappertutto ma dal fatto che un letto lo si ricavi sempre, comunque e ovunque. Ciò che vediamo nel reportage e valutiamo a primo impatto come malfamato, brutto, sporco e cattivo, prende forma come idea di bellezza quando ci si concentra sui soggetti ritratti, le persone. E’ allora che appaiono stanze pressoché vuote e i padroni di casa che hanno finito per ragionare di cose con le cose, diventandone parte. Questo disordine non risulta ingombrante perché lo sbigottimento di fronte ai soggetti è più forte della curiosa immagine in sé, c’è più di ciò che vediamo accumulato sotto i nostri occhi e spiato nel reportage alla Jeronimus Bosch della fotografa.
Si impiega un po’ a metabolizzarli questi interni.
A guardar bene, vien da chiedersi se si tratti di uno scherzo, se sia passione e talento fotografico spinto all’ennesima potenza a farceli definire “scatti iperrealisti nell’intimità delle case” più o meno specchio di un mondo interiore sempre affollato. Probabilmente è l’atmosfere da hopital psichiatrique che fa sembrare i soggetti sereni, che ci fa percepire una forma di casa generosa, una wunderkammer fatta di silenzi nel Paese delle Meraviglie.





